Disturbi d'ansia
L'ansia è la normale reazione a un pericolo potenziale, ed ha lo scopo di preparare l’organismo a fornire una risposta adeguata attraverso tutta una serie di attivazioni fisiologiche e mentali. Di per sé, ed entro certi limiti, non è quindi né dannosa né da evitare. Il problema nasce quando diventa eccessiva, ostacolando invece di favorire la risposta dell’individuo.
Esiste dunque un’ansia normale e una patologica. La prima rimanda a uno stato di allerta che potenzia le capacità operative del soggetto nell’affrontare una situazione, la seconda comporta invece una serie di reazioni esagerate che finiscono per inficiare il livello delle prestazioni. Quindi, lo studente universitario che si appresta a sostenere un esame potrà trarre beneficio da un livello di ansia gestibile, in grado cioè di attivarlo al punto giusto in modo da risultare attento nell’interpretare le domande e pronto nel rispondere; ma se l’attivazione divenisse eccessiva, potrebbe entrare in stato confusionario, sentire più la propria ansia che le domande del professore, essere invaso da pensieri negativi circa l’esito finale e finire quindi col creare le condizioni perché vada a finire male, o comunque peggio di come sarebbe potuta andare.
​Esistono diversi tipi di disturbi d'ansia, tra cui disturbo d'ansia generalizzato, disturbo di panico, fobie specifiche, agorafobia, disturbo d'ansia sociale e disturbo d'ansia da separazione.
Disturbo d'ansia generalizzato
Anche se non è insolito preoccuparsi di cose come problemi familiari, di salute o economici, le persone con disturbo d'ansia generalizzato (DAG) vivono tali preoccupazioni – e molte altre – in modo particolarmente intenso, anche quando potrebbero avere pochi o alcun motivo di agitarsi. Le persone con DAG possono essere ansiose anche davanti a una giornata normale, essendo facile preda di sensazioni e pensieri negativi che le mettono in allarme anche quando un pericolo – reale o potenziale – non c’è. O meglio, di pericoli potenziali ce ne sono sempre dappertutto e per tutti noi: prendere l’auto per andare al lavoro, tagliare una fetta di pane o passare una giornata sugli sci sono attività che si prestano a possibili incidenti, anche gravi, ma fortunatamente possediamo un sistema automatico di elaborazione delle informazioni che, incrociando i dati circa la propria esperienza personale e quelli relativi a ciò che sappiamo di determinati fenomeni, detta comportamenti e soprattutto atteggiamenti adeguati alle necessità. Per cui, restando sull’esempio dell’auto, essendo certi di saperla guidare, possedendo una pregressa esperienza in cui al massimo si sono avuti piccoli tamponamenti, essendo al contempo coscienti che di incidente si può anche morire, ci si appresta al compito prestando attenzione ma anche con uno stato d’animo sereno, perché quel che possono fare tutti gli altri automobilisti che si incroceranno non è possibile prevederlo né controllarlo, per cui tanto vale la pena mettere su un po’ di musica e cantare.
Ma per le persone pervase da ansia generalizzata tutto questo diventa assai più difficile. Essi riferiscono di essere sempre stati preoccupati, in vita loro; si sentono incapaci di rilassarsi, vedono pericoli dappertutto e immaginano sempre il peggio. Si tratta quindi di una preoccupazione cronica, costante e spesso infondata, in grado di investire tutte le aree del vivere: affetti, salute, denaro.
Tra i sintomi:
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Ansia e preoccupazione eccessive rispetto a un gran numero di situazioni
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Incapacità di controllare tali timori
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Irrequietezza, irritabilità, tensione, affaticamento, difficoltà di concentrazione
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Disturbi del sonno
Disturbo di panico
Il disturbo di panico è caratterizzato da attacchi di panico ricorrenti e inaspettati, cioè da improvvise ondate di grave paura che raggiungono il picco nel giro di pochi minuti. Gli attacchi possono accadere in qualsiasi momento della giornata, anche di notte.
Quand’è che possiamo sospettare di avere avuto un attacco di panico? Quando si prova una sensazione di improvvisa e intensa paura accompagnata da palpitazioni, sudorazione, tremore, difficoltà di respirazione, dolore al petto, derealizzazione (sensazioni di distacco dalla realtà), depersonalizzazione (sensazione di distacco da se stessi), senso di morte imminente o di impazzire.
L’esordio è in genere tra i venti e i trenta anni di età, ma sono esordi anche in adolescenza o in età matura. Se il disturbo non è trattato adeguatamente, tende a diventare cronico; il suo andamento è tuttavia altalenante: può tendere a presentarsi più frequentemente oppure meno, a essere sempre più forte oppure no. In genere, tuttavia, anche una volta risolto può accadere che si ripresenti di tanto in tanto anche a distanza di molti anni.
Il primo attacco è di solito preceduto da un periodo di alcuni mesi in cui il soggetto è sotto stress o ha subito eventi di un certo rilievo (lutto, rottura di una relazione, traumi di vario genere)
Attacco di panico o attacco d’ansia?
I sintomi sono molto simili, per cui non è facile distinguere tra attacco di panico e attacco d’ansia. Tuttavia:
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L’attacco d’ansia ha in genere una causa scatenante, cioè un evento temuto, un pensiero, una preoccupazione che invece è di solito assente nell’attacco di panico
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L’attacco d’ansia ha sintomi meno “distruttivi” e maggiormente gestibili. Non presenta, tra l’altro, quel senso di distacco dalla realtà che presenta l’attacco di panico, e nemmeno quelle sensazioni terribili di morte imminente o di impazzire
L’attacco d’ansia è graduale e tende a durare di più, mentre quello di panico è improvviso, dirompente e dura meno
Fobia specifica (o semplice)
Le fobie rientrano tra i disturbi d’ansia e riguarda individui che soffrono di paura o ansia intensa quando esposti a oggetti o situazioni specifiche. Si tratta di paure estreme e irrazionali che costringono chi ne soffre a evitare l'oggetto o la situazione in ogni modo possibile, sebbene sia del tutto consapevole dell’esagerazione dei propri timori.
L’esordio avviene in genere durante l'infanzia e l'adolescenza, ma sono numerosi i casi in cui il disturbo possa si presenta più tardi, spesso in connessione con un'esperienza traumatica. L’eziologia, cioè le cause, sono da ascrivere anche alla predisposizione genetica e all'influenza famigliare.
La fobia specifica è dunque la paura profonda e persistente di un oggetto o di una situazione, che si traduce in una forte ansia manifesta. L’ansia può presentarsi anche al solo pensiero dello stimolo fobico, ed ha sintomi quali:
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Aumento della frequenza cardiaca (palpitazioni)
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Affanno respiratorio, sensazione di soffocamento
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Sudorazione
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Tremori, vertigini, formicolii
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Nausea, bocca asciutta
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Vampate di valore o brividi
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Confusione, disorientamento
Quando queste reazioni fisiologiche si fanno più intense, ci si può trovare davanti a un attacco di panico vero e proprio.
Siccome qualsiasi persona può sviluppare una certa riluttanza ad avere a che fare con certi oggetti o situazioni, affinché si possa parlare di una vera e propria fobia specifica occorre che:
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La paura sia persistente, irragionevole, eccessiva, e sia causata dalla presenza o dall'anticipazione di un determinato oggetto o situazione
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Tale paura generi una risposta ansiosa molto forte che spesso assume la forma di un attacco di panico (negli adulti) o di una scenata fatta di pianti strazianti e di un aggrapparsi all’adulto (nei bambini)
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Il soggetto, specie se adulto, riconosce che la sua paura è sproporzionata rispetto alla minaccia (che talvolta nemmeno c’è)
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Il soggetto adotta misure stringenti per evitare l'oggetto o la situazione temuta. In certi casi può riuscire a sopportare tali esperienze ma sempre con intensa angoscia e ansia
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La reazione fobica, l'anticipazione o l'evitamento interferiscono con la normale routine e le relazioni dell'individuo o causano notevole disagio
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La fobia persiste per un significativo periodo di tempo (almeno sei mesi)
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I sintomi non possono essere attribuiti ad altra condizione mentale (es. Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo da Stress Post-Traumatico, etc.)
Sono state classificate oltre 500 fobie e il loro numero tende ad aumentare, sono tuttavia riconducibili a due grandi gruppi: fobie specifiche (o semplici) e fobie complesse. Quelle specifiche hanno un fattore scatenante chiaro, circoscritto, unico (es. la fobia dei ragni). Sono a loro volta suddivisibili in:
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Fobie ambientali (es. acque profonde, altezze, temporali e fulmini, oscurità, tempeste, germi à NB: perché fa ribrezzo l’idea, non per paura di malattie)
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Fobie animali (es. paura di cani, serpenti, ragni, volatili)
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Fobie situazionali (es. spazi chiusi, prendere l’aereo, andare dal dentista, attraversare ponti, prendere le scale mobili)
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Fobie corporee (es. paura del sangue, di fare iniezioni, del parto, di osservare procedure mediche)
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Altre fobie (es. di certi cibi, di pagliacci e maschere, di vomitare, delle bambole, della morte, dei rumori forti, di soffocare, contrarre malattie)
Le fobie complesse hanno fattori scatenanti non facilmente identificabili e sicuramente non unici e circoscritti come avviene nelle fobie specifiche. Sono in genere più debilitanti poiché impattano in modo più evidente sulla vita quotidiana, e non sono facilmente evitabili. Le due principali:
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Fobia sociale (o Disturbo d’ansia sociale, cioè paura delle situazioni sociali)
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Agorafobia (paura di determinati luoghi, situazioni o spazi senza via d’uscita)
Fobia sociale
Sembra strano che, in un mondo iperconnesso e iperesposto in cui così tante persone non hanno alcun problema a pubblicare su internet foto e scritti che in altri tempi sarebbero stati ritenuti assolutamente personali, la fobia sociale (o Disturbo d’ansia sociale) abbia preso così piede, anche tra gli stessi che si prodigano in fotoritocchi e frasi allusive rivolte a chissà chi. Tra le varie fobie è certo delle più invalidanti, visto che chi ne soffre non potrebbe mai parlare in pubblico, ritrovarsi al centro dell’attenzione, avviare conversazioni e persino (talvolta) parlare al telefono; ha difficoltà a incontrare nuove persone, comportarsi in modo normale al cospetto di figure ritenute autorevoli (es. medici, superiori), mangiare e bere davanti agli altri, chiedere consiglio in un negozio o informazioni su un luogo da raggiungere. Per il fobico sociale la peggior cosa che potrebbe capitargli è inciampare e cadere davanti a tutti, magari spargendo le proprie cose per terra, oppure essere chiamato in causa in una cena fra amici, e ricorda ancora con terrore i tempi della scuola in cui era interrogato alla cattedra: mai una volta che fosse andato volontario!
Da queste premesse dovrebbe risultare chiaro che l’ansia sociale è il disagio provocato dall'interazione sociale, il cui nucleo centrale è la paura di essere giudicati dagli altri. Per poter sospettare una difficoltà di questo tipo occorre che:
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Si provi una forte paura di essere notati e che gli altri si accorgano del proprio disagio
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Tali timori siano sproporzionati rispetto alla situazione reale e non siano occasionali
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L’ansia sia tale da compromettere il normale svolgimento delle relazioni umane e del lavoro (o delle attività scolastiche)
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Tale stato disabilitante non sia attribuibile ad altre patologie mediche o psichiatriche, oppure all’uso di sostanze
Dal momento che molti dei comportamenti tipici del fobico sociale somigliano a quelli di una persona introversa, evitante o semplicemente timida, è importante la cosiddetta “diagnosi differenziale” che farà il clinico. Proviamo a fare chiarezza.
La timidezza si colloca sullo stesso continuum della fobia sociale, ma ne rappresenta la versione più blanda. Ritenuta da taluni un tratto temperamentale, può essere definita come l’atteggiamento psicologico (ancor prima che comportamentale) di chi si sente inadeguato quando è insieme agli altri, specie se estranei. Le difficoltà del timido sono dunque simili a quelle del fobico sociale, ma molto più attenuate e non in grado di interferire significativamente sul funzionamento del soggetto. L’introversione, che è certamente un tratto di personalità, è invece la preferenza del soggetto per il proprio mondo interiore. Tale “introflessione”, che lo caratterizza sin dall’infanzia, può provocare alla lunga uno scarso sviluppo delle abilità sociali e quindi una apparente timidezza, ma l’’introverso non è affatto un timido che vorrebbe avere più rapporti sociali, ma una persona non interessata all’esteriorità. Può tuttavia avere degli amici, in genere pochi e molto importanti, e può rivelarsi del tutto capace di parlare in pubblico o guidare un gruppo. L’evitante sociale, infine, che nella versione estrema è noto come “hikikomori”, è un individuo che sceglie volontariamente la solitudine in quanto ostile alle relazioni sociali. Schematizzando:
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Timidezza: desiderio di interazione ma timore di essere rifiutati o risultare inadeguati
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Introversione: disinteresse sociale, cioè mancanza di desiderio di interazione e preferenza per attività solitarie e per la propria interiorità
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Evitamento sociale: ostilità verso l’interazione e attiva ricerca della solitudine
Sono tutte e tre forme di ritiro sociale dalle implicazioni e conseguenze assai diverse, ma cose altre dalla fobia sociale. Tanto per complicare le cose, è possibile aggiungere che alcuni comportamenti apparentemente ascrivibili alla fobia sociale potrebbero in realtà rientrare nel Disturbo d’ansia generalizzato o essere conseguenza di un Disturbo da stress post-traumatico.
Agorafobia
A dispetto dell’etimo del nome e di quello che molte persone credono, l'agorafobia è qualcosa di più e di diverso da una mera “paura degli spazi aperti”. L'agorafobico diventa ansioso quando viene a trovarsi in luoghi o situazioni dalle quali potrebbe essere difficile o imbarazzante uscire o che potrebbero scatenare un attacco di panico attirando l’attenzione di tutti, senza peraltro poter contare sull’aiuto di nessuno.
In particolare, l’agorafobico ha paura di andare fuori casa da solo, ritrovarsi in mezzo a una folla di persone senza una sicura e veloce via d’uscita (es. allo stadio, in un concerto, al cinema, in un pub, in un centro commerciale), di viaggiare in auto, autobus o aereo (a misura che ci si allontana dai luoghi sicuri e conosciuti). Si noti una certa dimensione sociale dell’agorafobia: da un lato il soggetto ha bisogno di essere accompagnato da persone fidate ogni volta che esce di casa, dall’altro teme di fare una brutta figura davanti agli estranei se si sente male. Inoltre, l’agorafobia è spesso accompagnata da un certo grado di claustrofobia (difficoltà a stare in luoghi ristretti, chiusi) e monofobia (paura di restare da solo).
Più nel dettaglio, l'agorafobia è la paura sproporzionata dei luoghi pubblici e affollati, di uscire di casa, fare la fila, usare i mezzi pubblici e di trovarsi in tutte le situazioni dalle quali, in caso di bisogno, sia difficile guadagnare l’uscita o tornare rapidamente nel luogo sicuro per eccellenza, la propria abitazione. Non a caso l’agorafobico diviene rapidamente dipendente dagli altri, in genere una o pochissimi famigliari che devono accompagnarlo fuori o sbrigare faccende per conto suo.
Assai stretto il rapporto tra agorafobia e attacco di panico: il primo può scatenare il secondo, il quale a sua volta amplificherà il primo, in un circolo vizioso che si autoalimenta e dal quale è difficile uscire.
Ci sono tuttavia forma di agorafobia senza disturbo di panico, le quali possono essere scatenate da varie fobie: quella di diventare vittima di un crimine (uno scippo, uno stupro), di contrarre una malattia contagiosa, di trovarsi in pubblico in una situazione imbarazzante (auto in panne, caduta, etc.).
L’agorafobia è estremamente pervasiva e le persone che ne soffrono si trovano presto assai limitate nelle attività quotidiane, per lo più relegate in casa e impossibilitate ad andare a scuola o al lavoro, oltre che ad avere una vita sociale.
Qualche ulteriore approfondimento
Paura, ansia e fobia: quali differenze?
La paura è un’emozione primaria (cioè geneticamente determinata, finalizzata alla sopravvivenza, di breve durata) che mostra i suoi effetti a fronte di un pericolo reale e presente (es. percorrendo di notte una strada poco illuminata, si viene aggrediti da un individuo). La paura ha una funzione adattiva, serve ad attivare tutta una serie di risposte fisiologiche per preparare l’organismo a una reazione immediata e possibilmente efficace (nel caso dell’aggressione, difendersi o provare a scappare). In genere, cessato il pericolo cessa anche la paura.
L’ansia è invece uno stato d’animo (di lunga durata) che prende avvio davanti a pericoli ancora solo potenziali (es. percorrere di notte una strada poco illuminata e temere di poter essere aggrediti). Le discriminanti che distinguono tra paura e ansia sono quindi almeno due: la durata – nella paura misurabile in istanti, qualche secondo al massimo, nell’ansia quantificabile in minuti, ore, giorni – e la natura del pericolo – concreto e presente, nonché immediato nel caso della paura; potenziale e non certo nel caso dell’ansia.
La fobia è invece una paura/ansia (a seconda che l’oggetto fobico sia già presente o meno) sproporzionata, persistente e non controllabile rispetto a situazioni o oggetti che di per sé non comportano un reale pericolo, o perlomeno non nei termini percepiti dal soggetto (es. il terrore di oggetti appuntiti o di salire su un aereo).
Le tre forme di allerta – paura, ansia e fobia – sono talvolta strettamente connesse: l’aver vissuto una grande paura a seguito del reale morso di un serpente, può generare un’ansia persistente ogni volta che si fa una passeggiata in campagna, fino allo strutturarsi di una vera e propria fobia per i serpenti, anche quelli chiusi in una teca o semplicemente raffigurati in un libro. Va aggiunto però che molte fobie, la gran parte, non hanno origine da precedenti esperienze reali, ma rivelano vissuti inconsci del soggetto che trovano rappresentazione nell’oggetto fobico: il percorso terapeutico serve anche a svelarne il vero significato.
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Una paura diffusa, quella di guidare
È importante chiarire che talune paure estreme, come quelle legate al guidare un’auto, possono essere inquadrate anche come disturbo di panico o fobia sociale o, ancora, agorafobia, a seconda di ciò che il soggetto teme possa accadere se guidasse. Per esempio, se il timore è quello di farsi male andando a sbattere, allora saremmo in presenza di una probabile fobia specifica, ma se non si vuol guidare per timore di un attacco di panico, esperienza magari già vissuta in quelle circostante, potrebbe essere più corretto parlare di disturbo di panico. Ancora, se il soggetto è terrorizzato dalla possibilità di un guasto dell’auto che potrebbe creare disagio agli altri automobilisti, allora potremmo essere davanti a una fobia sociale, ma se la paura è legata al dover guidare in superstrada dove non sempre è possibile uscire immediatamente o fermarsi, allora potremmo essere in presenza dell’agorafobia. È compito del clinico stabilire di cosa si tratta e individuare le strategie migliori per venirne fuori.
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Nomofobia, quasi un categoria a parte
Quella di restare senza connessione, chiamata anche Sindrome da disconnessione, è la paura di non essere rintracciabili, o per aver dimenticato lo smartphone, o per mancanza di campo. Tecnicamente di parla di Nomofobia, una paura estrema che costringe il soggetto a non separarsi mai dal proprio cellulare (acceso), nemmeno di notte o per andare in palestra, fare una passeggiata o occuparsi di qualcosa di più importante.
Difficile distinguere tale fobia da una vera e propria dipendenza, come pure distinguerla da una classica monofobia (paura di restare soli). Resta il fatto che, ormai, per moltissimi giovani e anche per molti adulti – pure quelli cresciuti senza internet – risulta impossibile separarsi dal proprio smartphone, una difficoltà che lascia molto da pensare…
Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
Anche se nell'ultima versione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) il DOC non fa più parte dei disturbi d'ansia, ho pensato di includerlo di nuovo tra essi per una più facile comprensione da parte dei non addetti ai lavori, dal momento che anch'esso è fortemente connotato dall'ansia. Si tratta di un disturbo caratterizzato da ossessioni (pensieri intrusivi, rigidi ed egodistonici) e compulsioni (comportamenti rituali ripetitivi) sui quali il soggetto ha poco o nessun controllo. I comportamenti compulsivi sono spesso bizzarri e privi di finalità sensate, ma obbligano il soggetto a metterli in atto.
Gli stati d’animo provocati dalle ossessioni e compulsioni sono anzitutto di tipo ansioso, ma possono essere accompagnati anche da senso di colpa o disgusto. Per esempio, l’immagine ossessiva dell’uccidere uno sconosciuto provoca ansia e senso di colpa per averlo pensato, e la possibilità di averlo davvero fatto porta il soggetto a controllare compulsivamente le notizie in TV o su internet per assicurarsi che nessun crimine violento si sia verificato nelle vicinanze, oppure a chiedere a famigliari e conoscenti rassicurazioni sul fatto di essere una brava persona, o ancora a stringere oggetti e compiere determinati gesti per assicurarsi che le proprie mani siano completamente sotto il controllo della propria volontà.
Il disagio emotivo è innescato principalmente dal fatto che si tratta di pensieri egodistonici, cioè del tutto estranei alle idee, convinzioni, educazione e valori del soggetto, oltre che alla sua storia personale. Il risultato è appunto la compulsione, cioè un rituale che ha lo scopo sia di ridurre l'intensità dell'ansia, sia di prevenire o ridurre la probabilità di agire realmente quanto pensato.
Sebbene alcune compulsioni abbiano una finalità sensata (perlomeno finché le si attua una sola volta), in genere sono del tutto prive di senso. Le persone ne sono peraltro consapevoli, ma non riescono a evitarle.
Pertanto, le ossessioni:
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Sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti invadenti e che causano un’ansia o angoscia marcata
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Il soggetto tenta sempre di ignorare, sopprimere o neutralizzare questi pensieri, ma senza esito
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Egli è consapevole che tali pensieri, impulsi e immagini sono un prodotto della sua stessa mente: questo è un fatto importante, altrimenti saremmo davanti a un delirio
Quanto alle compulsioni:
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Sono comportamenti ripetitivi (o anche atti mentali) che la persona si sente obbligata a compiere in risposta a un'ossessione
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I comportamenti o gli atti mentali sono diretti a prevenire o ridurre sia l’ansia che la possibilità di realizzare il comportamento temuto
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Talvolta la compulsione è finalizzata a uno scopo sensato (es. controllare che in effetti non si sia ucciso qualcuno), più spesso è priva di senso (es. contare mentalmente)
I comportamenti ossessivo-compulsivi possono influenzare la qualità della vita domestica, lavorativa e scolastica. I rituali richiedono spesso molto tempo e influiscono sul funzionamento quotidiano. Per esempio, la compulsione di pulire in risposta a temi ossessivi di contaminazione può comportare numerose ripetizioni (cioè pulire dove si è appena pulito) e occupare quindi anche ore. Oppure, il dover rientrare in casa numerose volte per controllare se il gas è chiuso, può far perdere molto tempo ogni volta che si vorrebbe uscire. D’altro canto non è un caso che una persona con DOC venga spesso considerata strana o eccentrica, e che possa pertanto subire lo stigma sociale. In certi casi, tuttavia, si può riuscire a nascondere le proprie compulsioni espletandole in privato, apparendo quindi agli occhi degli altri del tutto “normali”.
Come detto, è importante che il soggetto sia consapevole dell’irrazionalità del proprio comportamento, altrimenti si potrebbe supporre la presenza di un disturbo psicotico, cioè di distacco dalla realtà. In genere i diretti interessati provano vergogna a raccontare quel che gli succede, specie se le ossessioni riguardano tematiche aggressive o sessuali.
N.B: Nella sezione dedicata ai Disturbi di personalità c’è un piccolo approfondimento sulle differenze tra il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e il Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità (DOCP)
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