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Psicologia scolastica

Fobie scolari, bullismo e cyberbullismo, demotivazione allo studio

La scuola è, nella mia professione, tra le grandi protagoniste dei racconti dei clienti. È sempre lì in mezzo, suo malgrado, a farsi tratteggiare ora come un periodo di spensieratezza, ora come anni di difficoltà, esclusione, paura. Devo dire che è più frequente il secondo caso che il primo.

Sarà forse per come è strutturata, con quei ruoli rigidamente prestabiliti fatti di docenti, personale ATA e studenti, gerarchia che si ripropone assai simile in classe, tra i ragazzi. Solo che stavolta chi sta in cima non si chiama Preside o Direttore, ma Marco, e chi sta in fondo non è il “bidello” ma Luca. Ma cos’hanno Marco e Luca che li pone così lontani l’uno dall’altro? Hanno il cosiddetto “status sociale”, cioè un ruolo ben preciso all’interno del gruppo-classe: Marco è un soggetto “popolare” (da non confondere col leader!), Luca è invece un “rifiutato”. Quello degli status sociali è un discorso che ha molto a che fare con il fenomeno del bullismo, ed è spesso legato a doppio filo con le cosiddette fobie scolati e con la scarsa propensione allo studio. Per ognuna di queste difficoltà esistono anche spiegazioni diverse, ma quella più frequentemente riscontrabile è legata al quanto si sta bene in classe, in particolare coi compagni.

Spesso le dinamiche relazionali della classe sfuggono anche agli insegnanti più attenti. È infatti possibile che taluni soggetti vengano rifiutati o ignorati in modo non eclatante e quindi non rilevabile da chi sta alla cattedra. Certe frecciatine, certe modalità di esclusione e di ignoramento, che magari si consumano all’entrata o all’uscita di scuola, o ancora durante le pause, non sono facilmente osservabili da parte degli adulti, né i bambini o gli adolescenti sono sempre propensi a parlarne a casa. Succede così che a un certo punto, magari dopo qualche giorno passato a casa per influenza o per le vacanze di Natale, mostrino una progressiva ritrosia a tornare a scuola, accampino scuse più o meno credibili su fantomatici mal di testa o di stomaco e si finisca presto col non riuscire più a portarceli, se non al prezzo di stremanti bracci di ferro. Quando la situazione non è più occasionale, si può iniziare a temere una fobia scolare, cioè uno stato di profonda e non risolvibile avversione per l’ambiente scolastico in toto, senza che apparentemente ci sia una causa scatenante. La fobia scolare, come già accennato, può avere altre origini, per esempio il rapporto difficile anche con uno solo dei docenti, un profondo senso di inadeguatezza rispetto ai compagni, la paura di fallire rispetto alle aspettative di genitori e insegnanti, o persino cause che nulla hanno a che fare con la scuola, per esempio problematiche famigliari o di crescita. Inoltre, la fobia scolare può essere ricondotta a sintomo secondario di altre difficoltà, come l’ansia sociale, l'ansia generalizzata, talune fobie specifiche, la depressione, un disturbo specifico dell’apprendimento, fino al disturbo oppositivo provocatorio. Quale che sia il motivo, essa è sempre molto invalidante perché colpisce una delle aree di vita più importanti in età minorile, lasciando i genitori del tutto impotenti nonostante i tentativi, i premi o le punizioni promesse e i consigli dei docenti.

Il bullismo, anch’esso ben spiegabile dagli status sociali dei protagonisti (cioè del bullo e dei suoi aiutanti, della vittima, degli spettatori e di chi, in classe, pur non assistendo sa perfettamente cosa succede), è un’altra dinamica classica dell’ambiente scolastico. Spesso genitori e insegnanti si sentono tranquilli perché non emergono nella classe gravi episodi di bullismo, di quelli che ai miei tempi si traducevano in qualcuno che ti aspettava all’uscita di scuola per gonfiarti di botte. Di questi episodi che ne sono molti meno, ma sono in compenso aumentate quelle forme di bullismo fatte di ingiurie, maldicenze ed esclusione dal gruppo, e cominciano molto presto, sin dalla scuola primaria. In questi anni ho raccolto molte testimonianze di vittime di questi tipi di bullismo e posso assicurare che sono persino più violenti della violenza fisica, più crudeli e soprattutto più prolungati e duraturi nelle loro conseguenze. Certe frasi dette dal compagno di classe davanti a tutti, certe cattiverie gratuite pronunciate tra le risate generali, divengono ricordo indelebile che a distanza di molti anni le vittime ricordano ancora, e ancora fanno soffrire. Proprio per questo, quando l’adulto ha notizia di episodi del genere non dovrebbe sottovalutarli ma muoversi immediatamente per risolverli, aiutando al contempo il figlio per elaborare quel che è già accaduto.

La demotivazione allo studio affonda anch’essa le sue ragioni primarie nelle relazioni coi compagni e con i docenti, specie per tutto il ciclo della primaria e delle medie. Poi, a misura che lo studente cresce, entrano in gioco altri fattori che possono distoglierlo dall’impegno scolastico: trasformazione del proprio corpo, cambiamento delle priorità e degli interessi, minore timore della reazione genitoriale, e anche contestazione dell’organizzazione scolastica in toto, cioè insofferenza per un sistema fatto di obblighi, regole, voti, sanzioni. Che il sistema scolastico vada riveduto da cima a fondo, è convinzione non solo mia ma di molti colleghi psicologi, docenti e genitori; in attesa, non resta che aiutare questi studenti a recuperare il senso del portare a termine il percorso formativo e di guardare al futuro con maggiore ottimismo.

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